Dopo molte battute esterne, abbiamo trovato l'ingresso di
una cavità promettente. Il massiccio roccioso promette di svelarci un tesoro.
Ora, si tratta di raggiungerlo e di dissotterrarlo, di andare oltre i confini
di ciò che è familiare, e di raggiungerne il fondo, di lasciarsi avvolgere dal
buio. A tratti, il buio ci sfiorerà da vicino con le dita ruvide della roccia,
stretta e fredda. Altre volte, resteremo attoniti, appesi a distanza di molti
metri dalla parete bagnata. Siamo preparati al freddo e all'umido. Già
immaginiamo il fango attaccato alla tuta come una pelle di lucertola. Ora, si
tratta di sentirsi in armonia con l'ammasso roccioso. Inizia l'esplorazione
vera, nuda e cruda.
La speleologia è sia il più vecchio dei passatempi, sia il
più incerto. Si tratta di una partita giocata al buio su un campo invisibile.
Fino a che non sono stati sviluppati gli attrezzi per consentire una
progressione verticale, alla fine del XIX secolo, un pozzo ripido o un tunnel
allagato potevano concludere una spedizione. Gli speleologi chiamavano questi
luoghi pozzetti terminali.
Se un ingresso non era troppo piccolo, o una prosecuzione
troppo stretta, la grotta poteva essere troppo profonda per essere illuminata
dalla luce di una torcia o di una candela . Nei libri classici di speleologia
francesi degli anni Trenta e Quaranta, "Dieci anni sotto la terra "
di Norbert Casteret, e "Alpinisti sotterranei", di Pierre Chevalier,
le spedizioni sono descritte come battute di caccia, gite per soli uomini,
esercizi atletici virili e un po' di moto, prima dell'ora di pranzo alla
locanda. Gli uomini indossano cerate e pantaloni alla zuava, portano zaini di
cuoio e scale di corda, e illuminano la via con una lanterna sottratta alla
carrozza. A un certo punto, in "Subterranean Climbers", un dolce
profumo di Chartreuse riempie l'aria, e la compagnia di speleologi si accorge,
con rammarico, che la bottiglia di liquore si è rotta. Un po' oltre, un sasso
cade dalla volta e picchia sulla testa di uno speleologo di nome François,
causandone la morte. La vittima, si prende atto con rammarico, era
"scarsamente protetta da un semplice berretto ordinario".
Chevalier e il suo team rilevarono più di dieci chilometri
di caverne nel Dent de Crolles, presso Grenoble. Stabilirono anche il record di
profondità, con seicentocinquanta metri di profondità, e svilupparono una serie
di attrezzi speleo ancora usati oggi, comprese le corde di nylon e i bloccanti
meccanici.
Casteret fece ancora di più. Nell'estate del 1922, lungo
un'escursione sui Pirenei francesi, notò un piccolo ruscello che sgorgava dalla
base di una montagna. Si tolse i vestiti e accese una candela, poi si infilò
attraverso la fessura e, superato un sifone, proseguì nell'acqua dentro una
galleria per un paio di centinaia di metri.
Quando il soffitto scese sotto la linea di galleggiamento, piuttosto che
tornare indietro, Casteret poggiò la candela su una sporgenza, fece un respiro
profondo, e nuotò avanti, a tentoni, seguendo la roccia fino a quando non sentì
il soffitto sollevarsi sopra di lui. Oltre quel punto, proseguì
nell'esplorazione per molti chilometri all'interno della grotta, fino a che
giunse a un salone di grandi dimensioni con una biforcazione. Da un lato, una
galleria presentava concrezioni calcaree spettacolari. Dall'altro, una galleria
più piccola mostrava un pavimento secco e fangoso. Sollevando la candela fino
al soffitto, Castaret vide allora, in questo secondo ambiente, alla luce
guizzante della candela, incisioni di mammut, bisonti, iene, e statue di
argilla rappresentanti altre bestie preistoriche, i resti di quello che ora
conosciamo come il santuario di Montespan, risalente a circa 20 mila anni fa.
"Ad Augusta per Angusta", la grandezza si raggiunge attraverso le
difficoltà, amava ripetere Casteret.
(Traduzione libera da In deep, The dark and
dangerous world of extreme cavers, NYT, Burkhard Bilger)
L'esplorazione delle grotte è una faccenda seria. Richiede
una buona preparazione fisica ma, soprattutto, richiede una profonda
motivazione. Ci vuole intuizione. Molte grotte sono state scoperte
fortunosamente. Molte altre, non si sono dischiuse al primo visitatore, ma è
servita l'intuizione di qualcuno che non si è arrestato di fronte a ciò che
altri avevano ritenuto, sbagliandosi, il fondo. Le grotte, come i fiumi, non
finiscono, ma si gettano in altri fiumi, e così via, fino al mare. Tutte le
grotte, proseguono, e la misura della profondità di un pozzo è solo la misura
della nostra temporanea capacità di spingerci avanti, o in basso:
semplicemente, oltre.
Non è questa la sede per scrivere un trattato di
speleogenesi. Molte informazioni si possono trovare nei testi che citerò in
bibliografia, se mai questo lavoro diventerà un libro :), o nel web, da cui ho
largamente attinto nel paragrafo che segue.
SPELEOGENESI
La speleogenesi è essenzialmente una questione di acqua che
erode chimicamente una roccia carbonatica. I parametri principali che guidano
il fenomeno dell'erosione chimica, altrimenti detta 'corrosione', sono la
solubilità della roccia, l'aggressività e la portata dei fluidi. Per quanto ci
riguarda, perché la speleogenesi svolga la propria azione, la roccia deve
essere carsificabile. Le rocce carbonatiche lo sono. Inoltre, la roccia non
deve contenere troppe di quelle impurità che, una volta liberate per azione
della dissoluzione dei carbonati, sedimentino come residuo argilloso, e
intasino il reticolo freatico, arrestando la carsificazione. L'acqua, dal canto
suo, deve essere aggressiva, ovvero ricca di acidi provenienti dal ciclo
esogeno, o dal ciclo endogeno (acque termali).
Esiste un altro fenomeno erosivo, guidato da cause fisiche,
detto talvolta 'corrasione'. L'erosione agisce in tutti gli ambienti, non solo
in ambito carsico. I parametri dominanti del fenomeno fisico sono la durezza
della roccia, la natura e l'energia dei processi di trasporto. L'erosione
fisica avviene per urto, abrasione, azione termica, cavitazione. L'erosione
fisica agisce anche in ambiente marino, dove invece il carsismo non è attivo.
Fatte queste premesse, le condizioni necessarie e
sufficienti per la formazione di una grotta sono:
a) La roccia deve
presentare un reticolo di fratturazione pre-esistente, cioè le acque devono
trovare vie di accesso naturali all'interno del massiccio roccioso;
b) Le acque devono
circolare all'interno del massiccio, ovvero devono essere presenti delle
differenze di livello tra monte e valle che ne determinino il movimento per
azione della gravità. Le acque ferme sono in equilibrio chimico e fisico e non
svolgono alcun ruolo nel carsismo.
Le fratture della roccia possono essere descritte come piani
di discontinuità della roccia. In base alle caratteristiche geometriche di tali
piani, le fratture o, genericamente, le discontinuità, sono raggruppate dagli
speleologi in famiglie di orientazione spaziale simile.
I massicci carbonatici sono spesso interessati da famiglie
di discontinuità la cui origine è da attribuirsi 1) a comuni vicende geologiche
che hanno interessato il massiccio alla scala regionale. In tal caso, su ampie
zone del territorio indagato, saranno riconoscibili famiglie di discontinuità
orientate secondo una stessa direzione comune, e talvolta sono di rilevante
persistenza, ovvero osservabili per una lunghezza elevata. Viceversa, lo stato
tensionale della roccia dovuto a effetti circoscritti, determina una 2)
distribuzione locale delle discontinuità che si presenta solo in un determinato
luogo. È il caso della fratturazione per deformazione gravitativa di versante,
per rottura o per crollo.
La sovrapposizione delle diverse famiglie di discontinuità
determina un reticolo spaziale di giunti che costituisce la porosità del
massiccio roccioso e, al livello della superficie topografica, costituisce il
sistema d'ingresso delle acque nel sottosuolo. Già a tale livello, ovvero al
livello dell'epicarso, si assiste a un progressivo sviluppo del reticolo che
vede alcune vie di ingresso contribuire maggiormente al flusso delle acque complessivo.
Le vie caratterizzate dalla maggiore circolazione di fluidi, sono quelle dove i
fenomeni di erosione sono più efficienti. Perciò, tali vie, le cosiddette
diaclasi, accrescono la loro larghezza a
scapito delle altre. In seguito a successive fusioni di canali adiacenti, il
flusso si distribuisce lungo condotti preferenziali di maggiore dimensione. In
pratica, lo sviluppo di un sistema speleologico, presenta grandi somiglianze
con lo sviluppo di un reticolo idrologico, dove i corsi d'acqua di ordine minore
confluiscono in corsi d'acqua di ordine maggiore.
L'erosione scava la grotta e procede verso il basso,
dall'epicarso (zona d'infiltrazione) verso la zona di trasferimento verticale o
vadosa, sfruttando il reticolo di discontinuità disponibili, fino alla zona di
trasferimento orizzontale, o freatica. Dove più discontinuità s'incontrano,
determinano uno stato di fratturazione tridimensionale che accresce la capacità
di veicolare l'acqua. Con il procedere dell'erosione, la struttura a blocchi
della roccia determina anche lo svincolamento di quegli elementi di roccia
isolati, individuati dalla geometria delle fratture. L'erosione scava la
grotta, ma non tutta la roccia è disciolta dall'acqua. Dove i sistemi di
discontinuità s'intersecano, come nei pozzi o nei saloni di crollo, interi
blocchi si separano dall'ammasso e si spostano per gravità. Saranno disciolti
successivamente, lasciando spazio a grandi vuoti.
Man mano che il carso invecchia, l'erosione spiana il
rilievo in superficie. Diminuisce l'energia dei fenomeni fisici di erosione e
si accumula materiale in profondità, sotto forma di concrezioni, e di depositi
di fango residuale. Questi fenomeni agiscono in direzione opposta rispetto alla
generale erosione. Sono fenomeni costruttivi.
La speleogenesi opera su quattro dimensioni. La forma
dell'attuale reticolo tridimensionale di una cavità dipende dall'evoluzione di
un sistema attraverso le vicende geologiche che ne hanno determinato lo
sviluppo. Ecco, quindi, l'importanza del tempo come variabile descrittiva.
L'azione distruttiva dell'erosione tenderebbe a livellare il
massiccio roccioso, scavando il fondo delle gallerie fino a raggiungere la base
della formazione geologica con profondissimi tagli, proprio come la morfologia
di alcune forre, che sono prodotte dall'azione combinata del carsismo
sotterraneo e dell'erosione superficiale.
Si spiegano così anche i rami cosiddetti fossili, le
gallerie di bypass e le gallerie a sezione di chiave.
Infatti, il processo di approfondimento agisce costantemente
lungo tutta la vita di una cavità, e può capitare che, a causa delle mutate
condizioni in superficie, si determini un tardivo approfondimento di alcune
zone a discapito di altre che fino a una certa epoca avevano costituito le vie
preferenziali del deflusso delle acque.
D'altro canto, la sedimentazione di detriti e il
concrezionamento riempiono le grotte e determinano la modifica delle condizioni
di percorrenza.
Come se tutto ciò non bastasse, i movimenti isostatici della
crosta terrestre determinano lenti sollevamenti o abbassamenti delle masse
rocciose, le une rispetto alle altre, e rispetto al livello del mare, per cui
non è raro che un sollevamento determini un ringiovanimento del massiccio
carbonatico, mentre un abbassamento sommerga ciò che era già fossile in
un'epoca precedente.
Per quanto riguarda la geometria dei condotti carsici, la
morfologia di tutti i complessi carsici rispetta una regola che presenta poche
eccezioni. Le grotte sono costituite:
i) da rami verticali, i pozzi;
ii)da rami orizzontali, le gallerie.
Nella maggior parte dei casi, le deviazioni dell'asse dei
condotti dalla verticalità o dall'orizzontalità sono molto piccole. La
frequenza di rami con un'inclinazione intermedia è molto bassa. La verticalità
è spiegabile con l'azione di erosione delle acque in caduta. L'orizzontalità è
spiegabile con l'azione di erosione data dallo scorrimento delle acque. Sono
poche, le eccezioni. I rami che hanno uno sviluppo inclinato sono legati
soprattutto a vicende di crollo, o all'esistenza di giunti di stratificazione
particolarmente erodibili.
La natura dei sedimenti che si accumulano in grotta è legata
all'energia delle acque di scorrimento: ai ciottoli, corrispondono alte energie
di trasporto da parte delle acque; alle sabbie, medie energie; alle argille,
energie di trasporto molto basse. Se il fondo di una galleria in cui scorre
l'acqua è costituito da ciottoli, si può dedurre che l'acqua è aggressiva, se è
costituito da vaschette o dighe di calcite, l'acqua è satura.
La sezione pseudo-circolare di un condotto orizzontale o
verticale, rispecchia una genesi di scavo isotropo, tipico del lavoro carsico
sotto battente d'acqua.
I ciottoli arrotondati sono tipici del trasporto in acqua; i
clasti poliedrici, non arrotondati, sono tipici degli ambienti di frana o di
frattura. Un accumulo di frana tal quale non subisce trasporto. Ciò indica che
la frana è avvenuta all'interno di un vuoto preesistente. Tale vuoto era molto
probabilmente, una galleria, la cui prosecuzione si trova al di là della frana.
ESPLORAZIONE
Quando l'obiettivo dell'esplorazione è stato già definito, è
relativamente semplice stabilire se una squadra sia adatta o meno al compito.
Se si tratta di muoversi in una grotta prevalentemente orizzontale e
tecnicamente poco impegnativa, c'è poco da discutere. Più siamo, meglio è.
C'è sempre un team leader riconosciuto da tutti, un
responsabile dell'uscita che deve chiarire con molta franchezza ai suoi
compagni i seguenti punti:
obiettivo principale dell'esplorazione, inclusi gli
obiettivi secondari e la composizione delle squadre. L'obiettivo
dell'esplorazione è quello di spostare un limite conosciuto e di gettarlo verso
l'ignoto. L'esplorazione stessa, nuda e cruda, è un salto nel buio. L'esplorazione
è materia religiosa. Bisogna avere il dono della Fede. È naturale che ognuno di
noi abbia il diritto di divertirsi come crede, e che preferisca andare in
grotta con Tizio piuttosto che con Caio. Ma un gruppo che faccia esplorazione
deve porsi obiettivi seri, e perseguirli seriamente. Amen;
valutazione degli elementi critici per la realizzazione
dell'obiettivo, rischi e difficoltà. La grotta è un ambiente pericoloso. In
esplorazione si fatica spesso, talvolta, si soffre. Bisogna sentirsi
profondamente in pace con se stessi per godere della vita in un ambiente
freddo, sporco e bagnato: bisogna essere capaci di pensare che più tardi si
uscirà e si tornerà a far parte dell'umanità. Più tardi, non ora. Ora c'è solo
il freddo e il fango, e quel sacco pesante che non riusciamo a tirare fuori.
Non tutti sono in pace con se stessi. La grotta non è per tutti;
assortimento e distribuzione del materiale di gruppo. Che
ognuno, indistintamente, trasporti il proprio fardello, nella forma di una
sacca speleo;
rispetto delle norme
e dell'ambiente. C'è poco da commentare sul rispetto delle norme di legge, dei
regolamenti, delle consuetudini e dell'ambiente. Aggiungerei: c'è poco da
commentare sul rispetto del prossimo in generale, inteso come speleo, o
escursionista, o proprietario del fondo in cui si apre la grotta. Ne
incontrerai molti lungo il tuo cammino e, quelli, incontreranno te. Vale la
massima evangelica: tratta il tuo prossimo come vorresti essere trattato tu.
C'è poco da commentare anche sul rispetto dell'ambiente cui deve prestare
attenzione l'attrezzista, specie se munito di un trapano tassellatore: quel
buco che perforerai lungo il pozzo rimarrà lì molto più a lungo della tua
apparizione nella grotta. Pensaci, prima di fare un buco in più;
gestione dell'emergenza. Si tratta di approvvigionare e di
tenere in buono stato le dotazioni di emergenza, si tratta di istruirsi circa
le tecniche di soccorso; si tratta anche, semplicemente, di stimare i tempi di
permanenza in grotta e di fornire una predizione attendibile a chi ci aspetta
fuori, circa il tempo di uscita dalla grotta. Orario d'ingresso, tempo
necessario per raggiungere la zona di esplorazione, durata dell'esplorazione,
rientro dall'esplorazione e uscita dalla grotta, pause, imprevisti, tempo di
rientro alle auto e disponibilità del segnale telefonico. Non è difficile, è
una faccenda di tempi stimati, e di rispettare il metronomo dell'esplorazione.
Se partecipiamo a un'escursione in grotta dove qualcuno dei
citati punti non è stato chiarito, non mettiamoci problemi a chiedere che sia
trattato. Se solo un punto è stato espresso, e gli altri hanno ricevuto fumose
risposte, è ora di cambiare il team leader: noi siamo pronti per fare
speleologia seriamente e non abbiamo tempo da perdere! Se nessuno è stato
trattato, è ora di cambiare gruppo.
A mano a mano che la progressione diventa più verticale, e
soprattutto profonda, il team-leader deve chiedersi se tutti gli elementi umani
che vi partecipano siano in grado di dare un utile contributo alla missione.
Nel caso, possono essere valutate tre diverse strategie:
cambiare radicalmente l'oggetto dell'esplorazione;
mantenerlo, ma renderlo meno ambizioso;
dividere la squadra in due o più sottogruppi indipendenti
che abbiano un diverso obiettivo esplorativo.
Un buon team leader deve avere la capacità di ottenere il
meglio, in termini esplorativi, da qualunque situazione personale e ambientale.
La semplice ricetta per coltivare gli speleologi novizi è di far sentire ognuno
indispensabile, almeno nel suo ruolo, e di programmare la permanenza e le
attività in sotterraneo dei membri della squadra in accordo con le capacità di
ognuno. Essere buoni coach non è però indispensabile. Se non lo si è capiterà
presto che termineranno gli speleo disposti
ad accompagnare il team leader in esplorazione; e in grotta non si va da soli.
La regola base è che ogni squadra deve muoversi alla
velocità del suo membro più lento: nessuno può essere lasciato indietro, sempre
che questi non lo voglia esplicitamente.
Nelle grotte orizzontali, non c'è un limite numerico vero e
proprio alla composizione della squadra. Nel caso che la progressione presenti
lunghi tratti in strettoia, o dove sia necessario il superamento di laghi o
sifoni singolarmente mediante canotto, può essere necessario dividere il gruppo
in due squadre di diversa velocità, con la prima che raggiunge in anticipo
l'area di lavoro, e la seconda che giunge successivamente e prosegue il lavoro.
È da tenere presente che il lavoro di disostruzione può essere molto faticoso e
che cambiare frequentemente l'uomo di punta può rendere il lavoro più spedito.
Nelle grotte verticali, la squadra dovrebbe essere limitata
a tre persone. In due, la progressione è veloce, ma la capacità di trasporto è
limitata e, in caso d'incidente grave, bisogna essere preparati a restare
all'interno con il ferito fino all'arrivo dei soccorsi. Quindi, il numero
ideale è tre. Uno attrezza la cavità e gli altri due rilevano. Se si è in
numero superiore, può essere conveniente dividere le squadre su diversi
obiettivi; per esempio, esplorando la possibilità di eseguire una risalita in
artificiale, tema di un prossimo articolo, oppure scaglionare l'ingresso della
seconda squadra in modo che la punta esplorativa si avvantaggi dell'arrivo di
energie fresche. Chi esplora dovrebbe sempre rilevare gli ambienti nuovi, se
non durante l'avanzamento, durante il percorso di rientro. Non è giusto
lasciare il lavoro sporco a chi ci raggiunge, dopo che noi ci siamo cinti
dell'alloro dell'esplorazione; come non è giusto sopraggiungere una volta che
un buco è stato disostruito da altri, e fiondarsi a esplorare oltre, lasciando
coloro che hanno fatto il lavoro sporco con un palmo di naso. A questo
proposito, sarebbe utile scrivere un articolo sull'etica della speleologia,
condensato in un piccolo galateo per uso quotidiano.
Per inciso, il lavoro sporco per eccellenza è la
disostruzione. Anche questa attività, ha i suoi attrezzi e le sue tecniche,
tutte da adattarsi alle circostanze e alle mani che ne faranno un sapiente uso.
Il mezzo di scavo varia dalla paletta da giardinaggio, in
argilla, fino a un picconcino per ciottoli e sabbia. La disostruzione di grossi
blocchi, richiede l'uso di un palanchino. La disostruzione in roccia richiede
l'uso di una punta e la mazzetta; per la disostruzione in roccia viva, servono
un trapano, e le cariche esplosive.
Servono anche un secchio, o una tanica, quando c'e`
abbastanza spazio; il sacco speleo diventa un ottimo contenitore per trascinare
il materiale fuori da un cunicolo. Per i trasporti verticali, servono una
carrucola e un paranco.
L'esplorazione di una cavità può protrarsi per molte
escursioni successive. Ogni volta che rientriamo, aumenta la durata della
nostra permanenza complessiva all'interno, e l'entità del lavoro. Si tramandano
leggende di punte esplorative durate molti giorni di fila, senza che gli alieni
in questione cadessero addormentati per più di mezz'ora. Naturalmente, è una
questione di resistenza personale. Se all'esterno, però, un'attività prolungata
per oltre dodici ore ci costa e richiede, al termine, che ci riposiamo per un
lungo periodo, non si capisce come in grotta, dove il consumo di energia è di
molte volte superiore, saremo capaci di dare il meglio di noi. Ognuno conosca
se stesso! Arriva un momento in cui le punte esplorative hanno una durata
superiore alle dodici ore e l'attività speleo incide sui nostri ritmi del
sonno. L'esplorazione raggiunge il suo acme. Poi, inizia la lunga risalita
verso l'esterno. Ad un tratto, ci rendiamo conto che è un'ora imprecisata della
notte. Il corpo sente che è il momento di dormire, ma la prossima tappa, tra
ancora molte ore, è il parcheggio dell'auto. Siamo pronti per programmare un
campo in grotta.
Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)
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