Non essere un'unica forma, adattala e costruiscila su te
stesso e lasciala crescere: sii come l'acqua. Libera la tua mente, sii informe,
senza limiti, sii come l'acqua. Se metti l'acqua in una tazza, lei diventa una
tazza. Se la metti in una bottiglia, lei diventa una bottiglia. Sii come
l'acqua. (B.Lee)
Un articolo sulla progressione, sul movimento in grotta: perché? La semplice
osservazione di speleo diversi che affrontano le medesime situazioni
ambientali, un meandro, un pozzo, una grotta complessa, fornisce una risposta
banale e, al tempo stesso, molto potente. Alcuni speleo sanno muoversi molto
meglio di altri.
Alla banale risposta, segue, però, un'ulteriore domanda, e
la risposta a quest'ultima è meno scontata perché, cosa voglia dire: "
sapersi muovere", è un concetto per niente facile da spiegare.
Questo articolo non vuole in nessun modo confrontarsi in
maniera accademica, o comunque "seria", con le scienze motorie, o con
la psicologia dello sport, anche perché, chi scrive non ha la minima
preparazione in questi campi. Si tratta di dare un contributo a un tema
interessante, sul quale pochissimi si sono espressi, cito ad esempio G.Badino
in Tecniche di Grotta (1996). Si tratta, soprattutto, di stimolare le
riflessioni personali in ciascuno speleo e, magari, di far germogliare in chi
sa veramente scrivere di scienze motorie il desiderio di descrivere compiutamente ciò che noi abbiamo qui solo
intravvisto.
Essere padroni delle tecniche di progressione, sapersi
muovere in grotta, ha sicuramente a che fare con molte e diverse abilità:
a) "saper fare i singoli movimenti", sfruttare gli
appigli in arrampicata, eseguire efficacemente il movimento di risalita su
corda con i bloccanti, impostare la posizione del corpo in una strettoia; la
progressione è, prima di tutto, una questione di pura tecnica di movimento, di
"fondamentali", calcisticamente parlando: palleggio, dribbling, ma
non è solo questo;
b) sapersi muovere è anche una questione che implica la
concatenazione dei singoli movimenti allo scopo di superare con naturalezza e
rapidità un tratto di arrampicata, o di strettoia; la progressione è una
questione più complessa del singolo gesto tecnico, implica un'intelligenza
motoria che si sviluppa sull'intera lunghezza del passaggio, è una questione di
preparazione dell'azione, come se si trattasse di uno schema del gioco del
pallone, del 4-4-3, o dell'applicazione del fuorigioco. Si tratta di tattica;
c) sapersi muovere, infine, significa modulare nel tempo lo
sforzo della progressione e la permanenza in condizioni ambientali di stress
psico-fisico, amministrando le proprie energie, utilizzando in ogni momento la
minima energia necessaria per progredire. E regolare il tutto, insieme con il
movimento dei propri compagni, affinché la velocità e i tempi dello sforzo
siano distribuiti uniformemente lungo il cammino. Ecco, sapersi muovere è anche
una questione di strategia a lungo termine. Per completare l'analogia
calcistica, diremo che non si tratta solo di segnare un gol, ma di vincere la
partita.
La progressione in grotta si basa sul controllo del gesto e
sulla conservazione dell'energia. Il movimento scoordinato ci espone al
pericolo di cadere o di farci male, provoca stanchezza e un corpo dolorante per
via degli urti con la roccia. Il movimento controllato aiuta anche a mantenere
l'integrità dell'ambiente di grotta. D'altro canto, l'energia è un bene
limitato e la sua gestione è un argomento che diviene tanto più importante,
quanto più scorre il tempo del nostro orologio sotterraneo, e aumentano il
freddo, e la fatica. Se dovessimo enunciare una singola regola che riguardi la
progressione, questa probabilmente sarebbe: davanti a un ostacolo, prima
guarda, poi pensa, poi agisci. Un diverso approccio si conclude inevitabilmente
con maggiore fatica, errori, incidenti.
Comprendere le varie tecniche e abilità di manovra afferisce
alla sfera cognitiva, mentre utilizzare la tecnica appropriata per una
specifica applicazione afferisce alla sfera psicomotoria. Sentirsi sicuri in
grotta, invece, è una questione puramente emotiva. Sapersi muovere è
chiaramente il prodotto di molti fattori, e solo una parte di questi ha a che
fare con la pura forma e forza fisiche che, lo diremo qui e non lo ripeteremo,
sono un fattore molto importante della progressione in grotta. Tuttavia, anche
lo speleologo più forte fisicamente, ma di tecnica scarsa, si troverà
prestissimo in difficoltà quando avanzerà, con grande dispendio di energie, in
arrampicata o sulla corda, utilizzando la forza delle proprie braccia invece
che quella delle gambe, o strisciando e strappando in meandro, come se il
proprio corpo fosse un sacco da rimorchiare lungo gli strettissimi passaggi.
I gesti si combinano negli schemi motori di base che
compongono l'alfabeto essenziale del movimento: rotolare, strisciare, camminare
in quadrupedia, cioè "gattonare", arrampicarsi, equilibrarsi,
camminare eretti, piegarsi, e poi correre, saltare, afferrare, tirare,
spingere, lanciare, calciare. Ognuno di questi gesti, nell'ambito della tecnica
speleo, può essere migliorato e reso più
efficace.
Dal punto di vista motorio, il nostro corpo è un sistema
meccanico costituito da masse collegate da articolazioni flessibili e da
attuatori muscolari, elementi che si trovano in molte macchine. Non dovrebbe
stupire che alcuni insegnamenti possano, perciò, essere tratti direttamente
dalla Fisica.
Il rendimento fisico aumenta se il moto si svolge:
i) per successivi stati di equilibrio reversibili;
ii) in assenza di dissipazione di energia.
Il moto per stati di equilibrio, sia che si tratti di
camminare, sia che si tratti di arrampicare, si ha quando in ogni istante del
movimento ci si trova in una posizione di equilibrio. Ci si trova in equilibrio, tenuto conto delle
"forze di inerzia", quando la verticale del proprio baricentro ricade
all'interno degli appoggi. Per questo, quando si arrampica bisogna mantenersi
quanto più possibile verticali, piuttosto che paralleli alla roccia, o
"spalmati" sulla roccia, e rispettare la regola dei tre punti di
appoggio, in maniera che i propri arti disegnino sempre una "Y",
dritta o rovesciata, a seconda che ci si trovi su un piede o su due piedi. Dato
che spesso gli appoggi sulla roccia non si trovano dove sarebbe comodo
trovarli, è sorprendente notare che un movimento del torace o del bacino ci
consenta talvolta di spostare il baricentro di quel poco sufficiente a
ritrovare l'equilibrio. Ciò vale anche nella camminata su superfici irregolari,
dove l'equilibrio è efficacemente mantenuto (in virtù della conservazione del
momento angolare) con l'azione delle braccia, usate come se fossero l'asta di
un equilibrista.
Ogni movimento dovrebbe essere reversibile, nel senso che
dovrebbe essere possibile invertire il verso della progressione in ogni
momento. Sono esclusi, quindi, i salti e le scivolate. Ogni oggetto che
trasportiamo, attrezzi o sacchi, non dovrebbe pendere sotto di noi o oscillare,
in quanto l'oscillazione determina un inutile dispendio di energia, ma
soprattutto per evitare di spendere tempo e energie per liberarsi dagli
innumerevoli "incagliamenti" e per essere migliori padroni del
proprio equilibrio.
Fa parte del bagaglio tecnico dello speleologo l'utilizzo
dell'arrampicata in aderenza, laddove non si sfrutti un appiglio o un appoggio,
ma una superficie inclinata che fornisca un'utile reazione statica di
sostentamento per via dell'attrito sviluppato dai piedi, ma anche da altre
parti del corpo. Tale utile reazione statica è tanto maggiore, tanto più
l'applicazione della nostra forza è orientata perpendicolarmente alla
superficie della roccia. In parete, il massimo dell'effetto si ottiene con
un'applicazione verticale del peso dello speleologo (abbiamo detto: mai
spalmarsi sulla roccia). In presenza di una superficie opposta su cui
esercitare una pressione, in meandro o in fessura, tale reazione può essere
incrementata, come se noi fossimo un cuneo, con le tecniche della spaccata o
dell'opposizione.
Strisciare è faticoso e dilapida inutilmente energie. Questo
movimento non dovrebbe essere utilizzato neppure per spingere il sacco, che si
dovrebbe passare di mano in mano e che, al limite, andrebbe sollevato e spinto
piuttosto che tirato. Muoversi a carponi fa risparmiare energia e consente di
mantenere un ritmo confortevole. Molti
indossano permanentemente delle protezioni per le ginocchia e sfruttano
l'appoggio su queste articolazioni con molta più frequenza di altri.
Probabilmente, la schiena di questi speleo ne trae giovamento.
Lo "strisciamento" dovrebbe essere, invece, un
tipo di progressione per successivi stati di equilibrio, dove lo speleo, benché
animato da un complessivo spostamento traslatorio rispetto alla roccia, in
nessun momento striscia. Il movimento è costituito dalla ripetizione di
movimenti elementari. Una fase di contatto di alcune parti del corpo e di
allungo, è seguita da una seconda fase di bloccaggio e di recupero del resto
del corpo. Si procede per fasi di
appoggio successive, cercando di imparare la tecnica dagli animali che più di
tutti hanno sviluppato la capacità di muoversi nelle strettoie: i lombrichi;
oppure dai serpenti, che non strisciano sul suolo, ma procedono con una
successione di spinte laterali.
Dove il passaggio è molto stretto, è obbligatorio svestirsi
di ogni oggetto, anche del casco, se serve, e muoversi con un braccio avanzato
e uno arretrato, in modo da diminuire la larghezza delle spalle, che è la
nostra dimensione massima trasversale. Nelle strettoie, assume un'importanza
fondamentale il controllo della respirazione e l'ascolto del proprio corpo.
Probabilmente, la caratteristica principale degli speleologi è che si tratta di
persone che sanno superare le strettoie. "Sanno" e non
"possono", se no, non esisterebbero speleologi che indossano una tuta
di taglia M, men che meno L o XL. Eppure ce n'è, e forse sono la gran parte.
Sullo Zen e l'arte di superare le strettoie si potrebbe scrivere un libro, e
forse qualcuno l'ha scritto (vedi ad esempio Strettoie, istruzioni per l'uso diG.Agolini) ma paradossalmente ciò ha a che fare più con le capacità
motivazionali di ciascuno, che con quelle strettamente legate alla fisica.
UTILIZZARE GLI ATTREZZI -
Appesi a una corda, i movimenti utilizzati dagli speleo sono volti a
mantenere, prima di tutto, l'equilibrio. Per fare ciò, è necessario individuare
mentalmente la posizione del proprio baricentro e riflettere circa il fatto che
l'equilibrio (e, quindi, il minore dispendio energetico) si ottiene mantenendo
il proprio baricentro quanto più prossimo alla verticale del punto di
sospensione dello speleo (discensore, croll, maniglia), pena un ribaltamento o,
quantomeno, un affaticamento muscolare per mantenere la postura, specie se si
trasporti uno zaino sulle spalle. Se il tiro non è verticale, lo speleo si
distaccherà dalla roccia con i piedi. Anche in questo caso, vale il discorso
circa la posizione del baricentro. Basta un piede posizionato nel modo
adeguato, per mantenere l'equilibrio.
In secondo luogo, la corda è un mezzo di progressione e richiede
di padroneggiare una tecnica che è costituita da equilibrio, coordinazione e
intelligenza tecnica nella regolazione dell'attrezzatura e nel corretto
esercizio delle forze la cui risultante, è banale dirlo, deve essere orientata
parallelamente alla corda e la cui retta d'azione deve passare per il punto di
sospensione. Il movimento del piede nella staffa deve muoversi lungo la retta
individuata dall'allineamento della maniglia-croll.
Quando si è appesi a una corda, o a una longe, l'uso delle
braccia per sollevarsi dovrebbe essere limitato a un istante in cui ci si
solleva per aprire il moschettone, non di più. E' una considerazione banale,
eppure l'inosservanza di questa tecnica fa sì che la gran parte degli inesperti
temano più di tutto il passaggio del frazionamento.
I concetti fondamentali della progressione in grotta sono di
utilizzare movimenti controllati ad un ritmo di progressione costante, di
economizzare le energie e di assistersi l'un l'altro quando necessario. Nelle
grotte molto frequentate, il percorso è spesso evidente perché il passaggio di
molti speleologi crea una traccia riconoscibile attraverso il sistema. Dove ciò
non accade, e comunque ogni volta che ci si trovi davanti a difficoltà da
superare in arrampicata o in strettoia, bisogna abituarsi ad aspettare chi ci
segue, per indicargli la strada, perché non si perda tempo e perché il gruppo
proceda alla velocità ideale, che non è di certo quella dell'elemento più
veloce, ma non è nemmeno quella dell'elemento che si ferma, prima e dopo ogni
ostacolo superato. Se in grotta non si corre, a maggior ragione, non ci si
ferma, perché fermarsi significa raffreddarsi, con tutte le implicazioni che
ciò ha sul fisico, ma anche sullo spirito degli speleologi. E' necessario
mantenere uno spazio adeguato tra gli speleologi, in modo da non disturbarsi a
vicenda, e di fare in modo di giungere ad affrontare un ostacolo solo quando
chi ci precede lo ha già superato, ma non così elevato da non potersi aiutare
nella progressione e nel trasporto dei sacchi. Soprattutto in meandro, è utile
fornire un appoggio a chi ci precede (salita) o a chi ci precede (discesa).
L'ASPETTO COGNITIVO - La grotta non è il nostro ambiente
naturale, il cervello può interpretare le cose sottoterra in modo diverso da
come appaiono alla luce del sole. Il suono è spesso amplificato, un piccolo
ruscello può suonare come un torrente in piena, un macigno sul pavimento
scivolando risuona come una grande caduta di massi. Luci e ombre giocano strani
scherzi, si vedono le cose con la coda dell'occhio e si intuisce il movimento
dove non c'è. I passaggi stretti, la costrizione del torace possono determinare
reazioni di panico. L''ansia spesso può influire molto negativamente sul
movimento. Essere su una corda o su una scala in condizioni di grande
esposizione può letteralmente immobilizzare alcune persone.
Avere delle persone intorno a noi può aiutarci, se ci si
sente spaventati o in ansia. Per gli speleologi principianti che non hanno mai
sperimentato l'ambiente sotterraneo, l'intensità emotiva può essere
sorprendente. I membri esperti di gruppi contenenti novizi devono essere
consapevoli delle componenti emotive che possono portare in maniera molto reale
a comportamenti pericolosi
Se la progressione è movimento, la sicurezza è nel movimento
controllato (guarda, pensa, agisci). La gran parte degli incidenti in grotta è
causata dal movimento: lo scivolamento e la caduta, l'urto con la roccia. Se un
controllo del movimento e una miglior tecnica di movimento ci rendono soggetti
attivi, capaci di valutare meglio le difficoltà della progressione e
affrontarle nel modo più sicuro, la caduta delle pietre, il secondo grande
pericolo che incombe sui viaggiatori del sottosuolo, ci rende passivi bersagli
del caso. Ma si tratta veramente del Caso?
LA CADUTA PIETRE - Voglio raccontare un episodio che mi
capitò quasi vent'anni fa. Percorrendo il canyon di Gorroppu, giungemmo nei
pressi di un salto alto una dozzina di metri. La partenza era sporca di
detriti. Predisposta la corda doppia, scesi per primo e mi sedetti di lato, a
pochi metri di distanza dalla base del salto. Era una bella giornata
primaverile e il sole era caldo. Mi sedetti con la testa tra le mani su un
mucchio di pietre. Il secondo che mi seguiva non era esperto. Prima di
scendere, per non scivolare sul detrito, si mise a scavare con i piedi cercando
il terreno saldo. Stavo per rialzare la testa per chiedergli se, secondo lui,
Gorroppu non fosse già abbastanza profondo così, senza che lui si mettesse a
spietrare, quando una grossa pietra, mossa da lui, spaccò in due il mio casco e
proseguì la sua traiettoria passando a un pelo dal mio naso senza ferirmi. Mi
ritrovai le due metà del casco tra le mani, come le valve di un'ostrica.
Si trattò di un caso? Spesso chiamiamo in causa il Caso, o
la fatalità. Anche il caos ha le sue leggi e, per quanto ci riguarda, queste
non contemplano mai la sospensione del principio di causa-effetto. Tenterò di tracciare una linea (abbastanza
grezza, a dire la verità), in maniera tale da fornire uno strumento per individuare
ciò che è fatalità da ciò che, a termini di legge, è negligenza, imperizia o
imprudenza.
Perché la caduta di una pietra causi un danno a qualcuno,
DEVONO concatenarsi i seguenti cinque eventi, ognuno dei quali è soltanto in
parte soggetto alla fatalità.
Evento nr. 1: quella
pietra deve esistere. Può trattarsi di un detrito già mobilizzato, ovvero di
una porzione di roccia fratturata ancora in posto, ovvero di un oggetto
trasportato dagli speleo (sacca, moschettone). Da questo punto di vista, è
indubbio che le cavità non siano tutte uguali. L'occhio dello speleologo
dovrebbe riconoscere le zone dominate dalla chimica, dal trasporto dei
sedimenti, o dalla fratturazione. Dovrebbe riconoscere se un pozzo scarichi o
no, osservando la conformazione dell'imboccatura e il deposito dei detriti sui
terrazzini e sul fondo.
Naturalmente, le dimensioni dell'oggetto che cade devono
essere tali da costituire un pericolo, anche in relazione all'altezza di
caduta. A titolo d'esempio, i nostri caschi probabilmente resisterebbero
all'urto di una pietra di dimensioni fino a qualche centimetro (due centimetri
di diametro) anche da altezze di caduta ben superiori a 50 metri. Non così
accadrebbe per una pietra di cinque centimetri che cadesse da tale altezza.
Sappiamo che, in fase di discesa, il primo DEVE spazzolare la via di discesa di
ogni detrito presente e ipoteticamente mobilizzabile. Chi segue, deve muoversi
con attenzione. Non farlo, costituisce negligenza.
Tuttavia, non si può ragionevolmente sperare di vedere ogni
blocco instabile e disgaggiarlo. Quel blocco rimarrà lì finché qualcuno non lo
tocca.
Evento nr. 2: la pietra deve essere mossa da una causa, e
tale causa è sempre, direttamente o indirettamente, uno speleologo. Più
speleologi sono presenti nel medesimo pozzo, maggiore è il rischio che qualcuno
muova qualcosa. Il rischio aumenta in progressione geometrica: se tre speleo
sono disposti lungo un pozzo, il primo può muovere una pietra che può colpire
il secondo e il terzo, mentre il secondo può muoverne una che interesserebbe
solo il terzo, con un totale di un fattore di moltiplicazione del rischio pari
a tre. Nel caso di sei persone presenti nel medesimo pozzo, tale probabilità è
pari a quindici, ovvero più del doppio. Andare in tanti in grotta può essere
un'imprudenza.
In caso di piogge intense, o piene del fiume che percorre la
grotta, l'acqua può trasportare detriti che precipitano nei pozzi insieme
all'acqua. Risalire su una corda lungo un pozzo che si è riattivato per una
piena può essere un'imprudenza fatale.
Non si può ragionevolmente sperare di non muovere nulla, ma
proprio nulla. All'interno, possono agire il terremoto, o la pressione
idraulica dell'acqua nelle fratture durante eventi meteorici particolarmente
intensi; in prossimità dell'ingresso, una pietra può essere mobilizzata dal
passaggio di un animale, o dall'azione delle radici di un albero mosso dal
vento. Si tratta di eventi rarissimi, alla scala dei tempi di un'esplorazione
in grotta, si tratta di fatalità.
Johann Westhauser è stato il fortunato protagonista di un intervento di soccorso durato 12 giorni. Fu colpito alla testa da una pietra alla profondità di oltre 1.000 m
Evento nr. 3: la traiettoria della pietra deve attraversare
una zona dove è presente uno speleo. Tanto più è stretto il pozzo, tanto
maggiore è la probabilità che una pietra che cade colpisca qualcuno all'interno
del pozzo. In corrispondenza di strettoie, bisogne stare particolarmente cauti,
perché una pietra che cade dall'alto, anche dopo numerosi rimbalzi,
probabilmente passerà di lì.
Il movimento di un oggetto che è stato mobilizzato dipende
dalla natura e conformazione della roccia e dalla forma dell'oggetto stesso.
Pietre di grossa dimensione, all'impatto con la roccia, possono frantumarsi in
una gragnola di frammenti.
Un oggetto che si distacchi dall'alto di un pozzo verticale,
segue naturalmente la traiettoria del filo a piombo, o della corda su cui sta
appeso un compagno, durante la caduta libera. Sarà nostra massima cura
bonificare la zona immediatamente circostante all'armo di partenza. Se tale
oggetto fosse animato da un moto con una componente orizzontale, poiché, ad
esempio, proviene da una discenderia sovrastante, inevitabilmente compirebbe un
moto a rimbalzi sulle pareti del pozzo sottostante.
Un pozzo d'inclinazione di 60° con una conformazione a
"colatoio" è invece capace di convogliare ogni oggetto che vi cada,
che vi si muoverà a rimbalzi e colpirà sicuramente chiunque vi si trovi. Quando
è possibile scegliere, è meglio armare lontano dal fondo dei colatoi, e stare
aerei. Anzi, prima di armare, è sempre obbligatorio farsi un'idea circa le
possibili traiettorie delle pietre cadenti. Perché no? Anche con qualche
esperimento balistico; lasciando, cioè, cadere qualche pietra e osservandone il
percorso: lontani dall'acqua e dalle pietre!
Lungo superfici di roccia d'inclinazione inferiore ai 45°,
spesso chiamate con termine minerario "discenderie", i massi si
muovono per rotolamento, se di forma pseudo-regolare, o per scivolamento puro,
se di forma appiattita, mantenendosi prossimi alla superficie del suolo. Un masso
mobilizzato lungo una discenderia è una minaccia grave per le tibie.
In frane e discenderie, è spesso preferibile muoversi, in
due o tre, a brevissima distanza l'uno dall'altro, in modo da trovarsi sempre
molto vicini a massi in incipiente movimento, ovvero nella fase di moto a bassa
energia cinetica.
Evento nr. 4: uno speleo deve trovarsi in quel momento
all'interno della zona di caduta. Non si sosta alla base dei pozzi, lo sanno
tutti. Soprattutto, non ci si sta in gruppo. Alla sommità dei pozzi, ci si lega
addosso qualunque cosa possa cadere e non si armeggia con corde o altri
oggetti, se non si è assolutamente certi che sotto non ci sia nessuno. Questo
implica che si conosca la morfologia del pozzo, perché potrebbe benissimo
essere che tutto ciò che cade dentro un P400 giunga fino alla base del pozzo.
Qualunque cosa cada nel pozzo, si grida "pietra",
sempre. Credo che sia meglio di "sasso". Ha tre vocali. In fondo al
pozzo si sentirà "ieaaa", giacché è impossibile gridare le
consonanti. "aooo" potrebbe essere "pazzo" o
"Marco". Meglio spostarsi rapidamente presso una parete, al riparo,
qualunque cosa vi gridino dall'alto, e non guardare verso l'alto.
Nel caso che si stia arrampicando, o ci si trovi in
posizione esposta, è utile prevedere anche solo la sorpresa dell'urto di una
pietra mossa da chi sta sopra, restando legati, ovvero seguendo da molto vicino
chi ci precede, in modo che l'eventuale scivolamento o rotolamento di un masso
possa essere controllato da vicino o anticipato.
Evento nr. 5: lo speleo deve essere colpito da quella
pietra. E' meglio non perdere la concentrazione e cercare di essere sempre
informati su cosa capiti al di sopra di noi, specie se, in cima al pozzo, si
muovono molte persone, e se alcune di esse sono prive di grande esperienza.
Meglio tenersi fuori dalla traiettoria di caduta delle eventuali pietre (!),
non sostare, alla base dei pozzi, sulla cima di un cono detritico, tenere il
casco ben allacciato.
In ogni caso, non tutto è perduto. Spesso la fortuna, è
dalla nostra parte.
Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)
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